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Cos'è la teoria del foraggiamento ottimale?

4 minuti
In natura, gli animali trovano un equilibrio tra energie spese e cibo ottenuto. Questo concetto è conosciuto come la teoria del foraggiamento ottimale.
Cos'è la teoria del foraggiamento ottimale?
Miguel Mata Gallego

Scritto e verificato il biologo Miguel Mata Gallego

Ultimo aggiornamento: 22 dicembre, 2022

La teoria del foraggiamento ottimale è un modello che prevede il modo in cui gli animali dovrebbero nutrirsi in modo da non spendere troppa energia e tempo. Visto da un’altra prospettiva, si tratta di un meccanismo naturale basato sulla massimizzazione delle risorse in uno spazio limitato.

Su cosa si basa questo modello? Da quali fattori dipende? È lo stesso per tutti gli animali? Risponderemo a tutte queste domande e molte altre nelle righe seguenti.

Un modello che prevede l’alimentazione degli animali

Il modello che prevede il comportamento di un animale durante la ricerca di cibo è conosciuto come teoria del foraggiamento ottimale (OFT). Evolutivamente, gli esseri viventi sviluppano adattamenti che consentono loro di sopravvivere. Questi meccanismi non si basano solo su modelli anatomici (ali, mani o artigli), ma anche su modelli comportamentali.

Come tutti sappiamo, procurarsi il cibo fornisce l’energia necessaria agli animali per svolgere le loro attività: muoversi, riprodursi e vivere con tutto ciò che questo comporta. Tuttavia, la ricerca e l’ottenimento di cibo è una delle attività che fanno consumare loro più energia.

Pertanto, è logico pensare che un animale vorrà ottenere cibo a sufficienza per svolgere le sue attività, ma senza spendere troppo tempo o energia. Questo perché deve anche riprodursi e fuggire da possibili predatori.

La teoria del foraggiamento ottimale (dall’inglese foraging, “foraggiamento, ricerca di cibo”) è il modello che si occupa della previsione di questo tipo di dieta ottimale. Cioè, calcola l’equilibrio tra il costo e il beneficio della ricerca del cibo che gli animali devono trovare.

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La lotta tra energia e tempo

In generale, i ricercatori dividono l’intervallo di tempo utilizzato dall’essere vivente durante il foraggiamento in tempo di ricerca del cibo e tempo di maneggiamento. Il tempo di maneggiamento include attività come la caccia alle prede o il tempo impiegato dall’animale per ingerire materia organica.

Possiamo quindi immaginare il modello come una «lotta» tra i tempi di ricerca e maneggiamento e l’energia ottenuta dal cibo. Il rapporto tra energia e tempo deve essere il più equilibrato possibile affinché un determinato alimento possa essere consumato.

Pertanto, ha senso che un giaguaro non si nutra di mosche. Sprecherebbe più energia per dar loro la caccia di quanta ne otterrebbe digerendole.

Fattori che influenzano il modello di foraggiamento ottimale

Il modello di foraggiamento ottimale è costituito da diverse equazioni complesse. Anche se non è nostra intenzione approfondire il modello matematico nella sua complessità, elencheremo di seguito una serie di fattori che lo condizionano.

La dispersione del cibo

Per molti animali, una dieta che prevede lo spostamento da un luogo all’altro non è la stessa di una che prevede la permanenza a lungo in un luogo. Pertanto, il tempo di percorrenza è un fattore fondamentale per gli esseri viventi nella scelta di una dieta.

A titolo di esempio, possiamo pensare all’alimentazione di un uccello granivoro, come il cardellino. Per questo uccello vi è una grossa differenza tra un grande bosco con alberi ravvicinati e un enorme prato con poche piante lontane tra loro: in quest’ultimo il costo energetico dell’alimentazione è molto più alto.

Esiste infatti una teoria chiamata “Teorema del Valore Marginale”, che propone il seguente postulato: il tempo ottimale di percorrenza da un luogo all’altro è proporzionale all’alimentazione adeguata dell’animale.

La qualità del cibo

Gli animali possono rifiutare di cercare cibo in determinati luoghi se la qualità del cibo è scarsa. Ciò di solito accade perché, se il cibo è di bassa qualità, non soddisfa il loro fabbisogno energetico e non vale la pena assumerlo.

Ad esempio, possiamo pensare a un grosso predatore come il ghepardo. Esiste una grande differenza tra grandi prede, come gli gnu, e il valore nutritivo di una dieta basata su piccoli mammiferi o carogne.

Sebbene la caccia agli gnu sia più difficile, la quantità e la qualità del cibo compensano ampiamente lo sforzo. Pertanto, la teoria del foraggiamento ottimale può essere utilizzata anche per prevedere la selezione delle prede nei gruppi di predatori.

Questa teoria è la stessa per tutti gli animali?

La teoria del foraggiamento ottimale è un buon metodo per prevedere come gli animali si nutrono. Non solo, perché questo modello può arrivare a stabilire se una specie avrà uno stile di vita generalista o specialista. Ora vi mostriamo come.

In una specie specialista, come la lince iberica, il tempo di ricerca della preda è relativamente breve. Quindi, le conviene cacciare sempre la stessa preda, in questo caso il coniglio. In questo modo, si specializzerà in un singolo tipo di preda e si nutrirà in modo sempre più efficiente.

D’altra parte, i gruppi generalisti si nutrono di un’ampia varietà di cibi diversi. Questo è il caso del topolino comune, per esempio. Per questo tipo di specie, il costo della ricerca di un’unica fonte di cibo è maggiore rispetto a quello di un’alimentazione basata su risorse diverse. Pertanto, il topo basa la sua dieta su vari semi, cereali e piante.

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In conclusione, possiamo dire che la teoria del foraggiamento ottimale permette a zoologi ed ecologisti di prevedere facilmente il comportamento alimentare di un animale nel suo ambiente naturale, che tipo di preda sceglierà e anche se si tratta di una specie generalista o specialista. Ovviamente, la natura è governata dai numeri con una precisione sorprendente.


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