Emù: uno degli uccelli più grandi del mondo

Scopriamo questo bizzarro uccello australiano e le sue cure parentali equamente suddivise tra maschi e femmine.
Emù: uno degli uccelli più grandi del mondo
Paloma de los Milagros

Scritto e verificato la biologa Paloma de los Milagros.

Ultimo aggiornamento: 27 dicembre, 2022

L’emù, noto in ambito scientifico come Dromaius novaehollandiae, è il più grande uccello endemico dell’Australia. Fisicamente somiglia molto allo struzzo, un grande uccello di origine africana e di dimensioni maggiori.

La distribuzione dell’emù copre quasi tutto il territorio australiano, dalle coste orientali alle regioni più centrali, comprese le alte montagne innevate. La sua popolazione, costituita da circa 700.000 esemplari, oscilla a seconda delle stagioni e può spostarsi di circa 25 chilometri al giorno.

Il suo habitat preferito sono le foreste e la savana; raramente vive nelle foreste pluviali. Di solito gli emù si stanziano vicino a una fonte di acqua, una risorsa che condiziona le loro migrazioni.

Pare che un tempo vivessero anche in Tasmania e che due delle varianti nane della specie si trovavano sulle isole Kangaroo e King, ma oggi sono tutte estinte. Scopriamo le caratteristiche dell’emù, uno degli uccelli più grandi del mondo.

Morfologia e comportamento dell’emù

Questo uccello può raggiungere i 1,9 metri di altezza, anche se la sua dimensione media è di circa 1,75 metri e 40 chilogrammi. Nonostante le grandi dimensioni, la posizione degli artigli dei piedi rivolti in avanti insieme alle zampe lunghe e muscolose fanno sì che l’emù sia in grado di correre a una velocità di 13,4 metri al secondo. Quanto alle ali, piccole e poco funzionali, possono sbattere, ma non gli consentono di volare.

Emù che corre.

Un emù adulto è ricoperto da un piumaggio bruno-grigiastro, ad eccezione delle zampe, della testa e del collo, che sono glabri e di una tonalità più scura. Questi colori possono variare a seconda dell’ambiente perché, oltre a proteggere dai raggi solari, lo aiutano a mimetizzarsi.

La stagione riproduttiva inizia a dicembre, il mese in cui il maschio e la femmina danno inizio al corteggiamento, costruiscono il nido e infine depongono le uova. All’inizio è la femmina ad avere una posizione dominante, ma quando si tratta di covare le uova, il maschio diventa territoriale e aggressivo.

La schiusa avviene dopo 50 giorni e dà origine a una prole che pesa circa 500 grammi. I pulcini saranno dipendenti dal padre fino all’età di sette mesi; successivamente, intorno ai due anni, lasceranno il nido per ricominciare il ciclo riproduttivo.

La dieta dell’emù si basa principalmente su frutta, semi, germogli, insetti e talvolta piccoli animali ed escrementi. Durante i periodi di fame possono perdere più della metà della loro massa corporea senza ammalarsi, il che è un vantaggio nei processi di incubazione maschile.

Fattori che ne minacciano la sopravvivenza e stato di conservazione

Il dingo australiano è il predatore dell’emù per eccellenza. La loro strategia di attacco si basa sulla distrazione del maschio che cova le uova per poi attaccare il nido. Per difendersi, l’emù sfrutterà la sua altezza e le sue potenti zampe lanciando calci che possono persino uccidere il suo avversario.

D’altra parte, anche i falchi possono rappresentare una minaccia per i piccoli e i giovani emù. Inoltre sono stati documentati casi di morte degli emù provocate dalla presenza di parassiti, tra cui i nematodi polmonari e cerebrospinali.

Dromaius novaehollandiae. Famiglia con pulcini.

Per quanto riguarda il ruolo di questo uccello nei vari ecosistemi, i suoi modelli migratori contribuiscono alla distribuzione dei semi. Alcuni di questi hanno un rivestimento protettivo che è in grado di germogliare solo una volta digerito ed escreto. Tuttavia, l’emù può anche causare gravi danni ai terreni agricoli, per cui i contadini erigono delle recinzioni di oltre due metri di altezza.

Attualmente, l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) ritiene che il grado di minaccia alla sua conservazione sia “poco preoccupante”. Anche così, è importante limitare il possibile impatto antropico sulla specie per evitare un’estinzione futura come quella già avvenuta in Tasmania.


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